Rileggere il “Caravaggio” di Longhi a più di mezzo secolo dalla sua pubblicazione significa addentrarsi in una coerentissima genealogia dell’arte moderna e, contemporaneamente, fare i conti con una storia dell’arte che riesce a farsi anche straordinaria letteratura. Dei saggi di Roberto Longhi resta la testimonianza di uno sconfinamento letterario che non cede sul fronte della correttezza scientifica. Sintomatico il fatto che molte biblioteche, forse depistate dall’introduzione di Emilio Cecchi, catalogano negli scaffali della letteratura italiana contemporanea un’opera che, ad opinione di chi scrive, fa parte a pieno titolo della saggistica d’arte.

L’edizione consultata per questa breve recensione fa parte della collana “I Meridiani” Mondadori e si tratta della raccolta più completa di scritti longhiani, edita nel 1973, curata da Gianfranco Contini e intitolata “Da Cimabue a Morandi”. Nonostante l’importanza dell’operazione editoriale, per il pregiudizio letterario di cui sopra, si fa sentire l’assenza di apparati iconografici. Pier Paolo Pasolini, intellettuale che non disdegnava interessi storico artistici, salutò la pubblicazione come evento editoriale dell’anno e ne acquistò una copia; dalla foto di sopraccoperta trasse diversi bozzetti, quasi caricature, del noto critico piemontese.
Tornando al singolo saggio su Michelangelo Merisi, esso fu dato alle stampe nel 1951, ed è una “guida” alla celebre mostra da lui curata “Caravaggio e i caravaggeschi”. Il saggio di Longhi apre con la rammaricata constatazione di quanto l’erudizione seicentesca e la storiografia ottocentesca abbia calcato la mano sulla figura del Caravaggio quale outsider plebeo, “lercio e irregolare” autore di pittura all’epoca denigrata a mero naturalismo.
Quello che ci interessa sottolineare in questa sede è la brillante ricostruzione di Longhi della “preistoria personale” dell’artista Caravaggio. Proprio negli anni in cui il Caravaggio era a bottega da Simone Peterzano, i fratelli Campi, Bernardino Gatti e Giovanni Ambrogio Figino furono i capeggiatori di “una breve sommossa di sapore naturalistico” che lasciò non poche tracce nella cultura visiva del giovanissimo Michelangelo Merisi. Riguardare oggi, col senno di poi, quelle opere, significa reinnescare la sensazione di stare al cospetto di “brutte copie di una Caravaggio mancato, per essere rimasto sempre in provincia”. Riportiamo qui alcuni esempi di questi raffronti, i più eclatanti, e vi invitiamo alla lettura diretta del saggio longhiano.




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